Il 4 ottobre 1957 si trattò del primo satellite artificiale della storia. Stavolta si tratta di uno dei primi vaccini anti-Covid. Insomma, il nome russo Sputnik sembra destinato ad essere collegato a eventi epocali e il suo stesso significato “compagno di viaggio” appare perfettamente adatto alla circostanza attuale, nella quale tutti si augurano di uscire al più presto dall’incubo della pandemia.

Meno consegne, più vaccini

L’apertura nei confronti del vaccino russo, peraltro non ancora approvato dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), è dovuta a due fattori diversi ma concomitanti: da una parte, la grave diminuzione delle consegne da parte delle case farmaceutiche Pfizer, AstraZeneca e Moderna; dall’altra, la sua efficacia, che, stando ai risultati pubblicati sulla rivista scientifica “The Lancet”, è del 91,6% praticamente per tutte le fasce d’età. “Sono rimasto colpito da questo dato” – ha affermato nel corso di un’intervista rilasciata a Radio Capital Massimo Galli, professore di Malattie Infettive presso l’Università Statale di Milano e primario presso l’Ospedale Sacco.

Un risultato più “pulito”

Il luminare ha anche sottolineato positivamente il fatto che lo studio di sperimentazione del vaccino russo abbia escluso chi già aveva avuto la malattia.
A questo punto, alcuni stati membri dell’Unione Europea hanno incominciato a muoversi: l’Ungheria ha già acquistato 40.000 dosi di Sputnik senza attendere il via libera dell’EMA; Spagna e Francia si sono già dichiarate pronte a utilizzarlo dopo la necessaria omologazione; la Germania sta addirittura muovendo i primi passi per un’eventuale produzione congiunta; in Italia se ne sta parlando sempre più diffusamente, anche se l’attuale crisi di Governo ne sta rallentando la discussione.

Per ulteriori informazioni: sputnikvaccine.com