L’ondata di profughi generata dalla crisi ucraina – 2.800.000 è la quantità complessiva valutata nel momento in cui scriviamo – sta già interessando l’Italia, anche perché nel nostro Paese vive e lavora una delle più vaste comunità di quel Paese martoriato. Qualcosa come 240.000 persone. Se è vero che, in media, ciascuna di queste potrà sollecitare direttamente o indirettamente l’ingresso di tre profughi – perlopiù parenti diretti – dobbiamo immaginare che nel nostro Paese arriverà un totale di circa 800.000 ucraini.

Il dovere da parte dello Stato di coordinare nel miglior modo possibile questa operazione umanitaria comporterà necessariamente anche un esteso intervento sanitario, poiché, purtroppo, la copertura vaccinale anti-Covid della popolazione ucraina era appena del 34 per cento prima del 24 febbraio scorso, data d’inizio del conflitto. E, manco a dirlo, è rimasta tale, con l’aggravante che, come qualsiasi altra guerra, quella in corso nell’Europa orientale – lo ha ricordato Mike Ryan, direttore del programma per le emergenze sanitarie dell’Organizzazione mondiale della sanità – rappresenta un eccezionale moltiplicatore di malattie infettive.

Attualmente, la procedura di accoglienza prevede che i profughi vengano immediatamente sottoposti a tampone e a un successivo periodo di sorveglianza, con la possibilità di ricevere il vaccino. Fino ad oggi, soltanto l’1,5 per cento della popolazione ucraina ha ricevuto la terza dose.